giovedì 29 dicembre 2011

UN CRISTO ZINGARO E' NATO A NATALE: rogo al campo rom di borgo Montello

Un incendio devastante partito probabilmente da una stufa difettosa. Pochi minuti e la vampa del fuoco divora tutto, ma tutto è una costruzione fatiscente dove sopravvivono undici delle famiglie Rom che popolano il campo di Al Karama a Borgo Montello, ad una pedata d'acceleratore da Roma. Al Karama in lingua araba vuol dire dignità, parola che diventa chimera ed utopia nel civilissimo agro pontino. Così civile che poco più di un anno fa due persone armate di pistola sono entrate nel campo Rom di Montello ed hanno sparato contro le finestre delle baracche che vi sorgono. Civile al punto che da anni si chiede di fronte alle passeggiate solidali di troppi notabili, che vengano installati i bagni e garantita acqua corrente a quelle persone. Nulla di fatto. Eppure ci si ostina a non capire che poco più di un centinaio di Rom sono uno degli ultimi presidi di democrazia e civiltà a pochi passi da un'enorme discarica che per anni ha inghiottito i rifiuti tossici delle mafie, come confermato dalle dichiarazioni del pentito di camorra Carmine Schiavone. Con la loro presenza i nomadi di Al Karama impediscono che la discarica arrivi anche su quel lembo di terra. Le mafie e chi le sostiene ad una manciata di chilometri da Roma lo hanno capito molto bene. Come avevano afferrato che un anziano sacerdote, don Cesare Boschin, fosse un ostacolo contro l'avanzare di quei camion che di notte vomitavano bidoni metallici. Lo dovevano fermare e con lui quella gente, quasi tutti veneti e ferventi cattolici, non pericolosi sovversivi, che avevano il coraggio di affrontare con la denuncia i gruppi di fuoco autoctoni al servizio della camorra. Per questo la notte del 30 marzo del 1995 quel prete anziano e malato venne massacrato, incaprettato, ridotto come uno straccio da buttare, accartocciato su un lettino di ferro, nella canonica della Chiesa del borgo.

E allora ignoranza, paura e pregiudizio insulso individuano oggi il problema di questa terra nei Rom di Al Karama. E alla notizia della quasi totale distruzione del campo nomadi c'è chi ha affermato: “Speriamo che l'incendio non sia accidentale, speriamo che qualcuno sia andato a dargli fuoco a quegli zingari di merda”. Nel frattempo giovani delle associazioni e non solo lanciano su facebook continui appelli per raccogliere vestiti e generi alimentari per quelle famiglie. Molti muovono l'indice sul mouse per fare clic su “mi piace” e la faccenda si ferma lì. Svariati altri rispondono e prendono contatto per portare i beni di cui ha bisogno la popolazione Rom di Al Karama. Purtroppo c'è anche chi risponde: “Si portassero vestiti e cibo ai poveri italiani che non arrivano a fine mese”. Per fortuna ancora nessuno ha risposto di portare un panettone ai parenti dei condannati per estorsione mafiosa che vivono tra la discarica e la parrocchia di don Boschin.

La notte di Natale ad Al Karama è nato un bambino e i suoi genitori abitavano proprio nella costruzione già fatiscente, ora devastata dalle fiamme. Un Cristo povero, nato al freddo riscaldato da una stufa elettrica, magari la stessa che ha provocato il corto circuito, che porta già la sua croce: è nato zingaro e conoscerà, oltre alla fame, il disprezzo e magari il carcere perché nessuno gli insegnerà un mestiere o gli darà lavoro se non per sfruttarlo.

Nel frattempo chi vuole la discarica anche sul terreno dove i Rom tirano avanti, si sfrega le mani bestialmente eccitato dall'odore dei soldi che già sente nell'aria. A sentire l'odore mortale di putrido e di tossico rimarranno gli abitanti del borgo, i cui nonni erano venuti a bonificare quelle terre paludose e a renderle fertili valli: rimarranno loro, lì da soli, impauriti da quei figuri oscuri che girano a bordo di mercedes che nessun contadino si potrà mai permettere. Resteranno a fianco la monnezza mentre quei signori dalle belle macchine entreranno nelle case dei veneti con la scusa di un caffè e appoggeranno sul tavolo della cucina la pistola, con disinvoltura come si appoggiano le chiavi in uno svuota tasche. Così nessuno parlerà più di puzza, di morti di cancro, di fusti tossici e di preti incaprettati.

Intanto a Latina è stato individuato il vero problema da affrontare, la questione centrale di un'intera collettività: da settimane infuria la discussione e il confronto su una proposta di referendum per ridare il nome di Littoria al capoluogo di provincia. Nei bar, nelle piazze, sulle bocche della gente e di tanti politici non si parla d'altro. Meno male, perché quando si alza il volume della coscienza sociale e della corresponsabilità si rischia che le cose cambino. Meglio evitare.

Antimo Lello Turri

martedì 20 ottobre 2009

Italia: informazione meno libera


L'Italia è al 49/mo posto nella classifica di Reporters senza Frontiere per la libertà d'informazione. Nel 2007 era al al 35/mo e, nel 2008, al 44/mo posto. Oggi è stato pubblicato il rapporto di RSF a Parigi. Ai primi posti della classifica si trovano Danimarca, Finlandia e Irlanda. Bene anche gli Stati Uniti d'America che, nell'anno di Obama alla Casa Bianca, si attestano tra i primi venti posti, mentre nel 2008 erano al quarantesimo. A proposito dell'Italia, nel rapporto si legge che "le vessazioni di Berlusconi nei confronti dei media, le ingerenze crescenti, le violenze della mafia contro i giornalisti che si occupano di criminalità organizzata, e una proposta di legge che ridurrebbe drasticamente la possibilità dei media di pubblicare intercettazioni telefoniche, spiegano il perché l'Italia perda posizioni per il secondo anno consecutivo".

domenica 11 ottobre 2009

Storia di un comune non sciolto per mafia: Fondi.


La Direzione Nazionale Antimafia, nella sua relazione dell'anno 2008 dichiara che "per quanto riguarda il Mercato Ortofrutticolo di Fondi esso appare interessato da infiltrazioni mafiose, e il Mercato subisce l’influenza della famiglia D'Alterio e del clan Tripodo". Emergono già, quindi, i nomi di sodalizi criminali facenti capo alla 'ndrangheta, operanti a Fondi e strettamente legati agli affari del MOF, il più grande mercato ortofrutticolo del centro-sud. Nel mese di settembre del 2008, Bruno Frattasi, Prefetto di Latina, consegna al Viminale la prima relazione su Fondi, frutto del lavoro d'indagine della commissione d'accesso precedentemente nominata dallo stesso Frattasi. Nelle conclusioni della relazione si parla di "compromissione dell’agire politico-amministrativo locale" e, ancora, il Prefetto scrive:
"Su tali aspetti appare esaustiva la scrupolosa ricostruzione operata dalla Commissione di accesso, che ben delinea il collegamento della famiglia Tripodo con elementi della mafia calabrese e clan camorristici, in particolare quello dei Casalesi". Il quadro, dunque, è chiaro. Fondi e la sua attività politico-amministrativa, risultano essere condizionate dal sodalizio di camorra e 'ndrangheta.
Ad aprile 2009, il Ministro dell'Interno Roberto Maroni, dinanzi alla Commissione parlamentare Antimafia chiede lo scioglimento del consiglio comunale di Fondi, dichiarando la sussistenza di tutti i presupposti necessari. A questo punto la parola spetta al Consiglio dei Ministri che, si pensa, non potrà più rimandare la decisione.
Intanto il clima nella città laziale è rovente. Nella notte tra sabato 2 e domenica 3 maggio 2009, l'azienda di imballaggi "Fidaleo" subisce un attentato incendiario che distrugge oltre ventimila cassette di legno. E' il quarto attentato in meno di trenta giorni a Fondi.
Il 6 maggio un incendio doloso danneggia i macchinari di un'impresa di movimento terra, l'Elispanair; un altro attentato incendiario devasta l'autovettura di un'imprenditrice. Lo stesso giorno, il Consiglio dei Ministri si riunisce, ma non decide nulla in merito allo scioglimento del consiglio comunale. Il Governo, quindi, temporeggia.
Il 7 maggio il titolare dell'Elispanair getta la spugna e chiude l'attività. Rilascia, inoltre, dichiarazioni scioccanti con cui denuncia che l'edilizia nell'area fondana è in mano ad un cartello camorristico. Quest'ultimo ha voluto dare con l'attentato un segnale forte all'Elispanair che aveva la sola colpa di praticare prezzi troppo concorrenziali. Pochi giorni dopo, Maroni risponde in questo modo ad un'interrogazione parlamentare dell'onorevole Amici: " “Per quanto mi riguarda non ci sono ostacoli a che in una delle prossime sedute il Consiglio dei ministri torni ad affrontare la questione e decida in un senso o nell’altro, per quel che mi concerne naturalmente nel senso dello scioglimento.” Tuttavia, il Governo non prende una decisione.
Nella notte tra domenica 17 e lunedi 18 maggio un incendio doloso provoca danni per oltre centomila euro all'azienda ortofrutticola "Cobal" di Fondi.
Alle elezioni provinciali del 7 e 8 giugno 2009, il Presidente uscente Armando Cusani, viene rieletto con il 57% delle preferenze. Ai microfoni del Tg3 Lazio, a proposito dello scarso risultato elettorale della Lega Nord nella provincia pontina, dichiara: “Il numero irrisorio di voti raccolto dimostra che la Lega deve rimanere al Nord, nonostante il ministro Maroni si fosse divertito a parlare di Fondi in Consiglio dei Ministri.” Il Sindaco di Fondi, Parisella, è eletto anche in Consiglio Provinciale.
Alle prime luci dell'alba del 6 luglio duecento agenti eseguono 17 arresti su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. Tra gli arrestati Carmelo Giovanni Tripodo e Antonio Venanzio Tripodo. E ancora, l’ex assessore ai lavori pubblici di Forza Italia, Riccardo Izzi, dimessosi nel 2008, il capo della Polizia municipale, Dario Leone, il vice Pietro Munno, il dirigente dell’area lavori pubblici del Comune di Fondi, Gianfranco Mario Renzi, il funzionario del settore Bilancio, Tommasina Biondino e l’imprenditore immobiliarista Massimo Di Fazio. Sequestrati beni mobili e immobili per un valore di oltre dieci milioni di euro. L'operazione prende il nome di "Damasco II". Il Governo continua a tacere.
Ferragosto. Proprio in questo giorno il Governo decide per il non scioglimento del Comune di Fondi. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, dichiara:
"In Consiglio dei Ministrisono intervenuti diversi ministri, hanno fatto notare come nessun componente della giunta e del Consiglio comunale sia stato neppure toccato da un avviso di garanzia.Quindi sembrava strano che si dovesse intervenire con un provvedimento estremo come lo scioglimento"
Alle 2 e 30 del 3 settembre 2009 un'autobomba esplode nella centralissima via Spinete a Fondi. Un autocarro furgonato, appartenente ad una ditta per la fornitura di caffè a bar ed a ristoranti del sud Pontino viene distrutto.
Nello stesso mese di settembre il Prefetto di Latina, Bruno Frattasi, presenta una seconda relazione al Ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Il Governo deve tornare a decidere.
Il 18 settembre 2009, Maroni presenta la sua relazione sul caso Fondi e dichiara:
"Il comune di Fondi (Latina), i cui organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 28 maggio 2006, presenta forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata tali da determinare una alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, nonché il funzionamento dei servizi, con grave e perdurante pregiudizio per lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica.”
Il 3 ottobre 2009 il sindaco di Fondi e tutti gli assessori si dimettono, ritenendo impossibile continuare a governare in quello che sembrano definire un clima di congiura contro di loro. Il sindaco dimissionario, Parisella, addirittura dichiara: "Non è possibile portare all’attenzione negativa un’intera comunità, un’intera amministrazione comunale sulla base di ipotesi mai
riscontrate da alcun Tribunale". Dimentica, forse, l'operazione Damasco II.
Venerdi 9 ottobre 2009, il Consiglio dei Ministri decide di non sciogliere Fondi, preferendo le nuove elezioni e dichiarando la situazione risolta con le dimissioni del Sindaco e della Giunta.
Questa è, grosso modo, la storia di un Comune non sciolto per mafia.

martedì 6 ottobre 2009

Per amore del mio popolo: Don Giuseppe Diana




“PER AMORE DEL MIO POPOLO IO NON TACERO'”
Siamo preoccupati
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.
Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
La Camorra
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana.
I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
Precise responsabilità politiche
E’ oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.
La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.
Impegno dei cristiani
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno.
Dio ci chiama ad essere profeti.
- Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
- Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
- Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
- Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)
Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.
NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO
Appello
Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”
Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa;
Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.
Forania di Casal di Principe (Parrocchie: San Nicola di Bari, S.S. Salvatore, Spirito Santo - Casal di Principe; Santa Croce e M.S.S. Annunziata - San Cipriano d’Aversa; Santa Croce – Casapesenna; M. S.S. Assunta - Villa Literno; M.S.S. Assunta - Villa di Briano; SANTUARIO DI M.SS. DI BRIANO )

Verità sull'omicidio di don Cesare Boschin


Il ventinove marzo 1995 Don Cesare Boschin aveva 81 anni. Gli ultimi quaranta li aveva passati a servire Cristo come parroco della chiesa di Sant’Annunziata di Borgo Montello (nella foto), a soli dieci kilometri da Latina. Realtà, questa, di tremila abitanti, che il sacerdote assisteva e di cui conosceva bene le difficoltà, le miserie e le speranze. La più scomoda era quella di cambiare qualcosa in relazione alla discarica situata nel borgo. Un sito realizzato su uno dei terreni più fertili della Provincia di Latina. Ciò, non andava affatto giù a molti di loro che si erano riuniti in un comitato. E, ovviamente, la cosa era ancora meno digeribile quando i sospetti di interramenti di rifiuti tossici da parte delle organizzazioni mafiose, si facevano sempre più consistenti. Sospetti che, tra l’altro, vennero confermati dal pentito di Gomorra, Carmine Schiavone. Don Cesare aveva deciso di appoggiare quella battaglia dei suoi parrocchiani odiando la violenza e la sopraffazione che era contro il suo modo di essere e di amare Cristo e la vita. Evidentemente quel comitato era scomodo. Dava fastidio. La mattina del trenta marzo la perpetua, come ogni giorno, salì in casa dell’anziano sacerdote per accudirlo. Fece le scale raggiungendo il piano sopraelevato dove si trovava l’alloggio di Don Boschin. Notò subito il disordine ed esclamò: “Don Cesare ma cos’è questa confusione?” Non udendo risposta si recò nella camera da letto del religioso e trovò qualcosa di terribile: Cesare Boschin era morto, incaprettato, legato mani e piedi e imbavagliato con il nastro adesivo. Un asciugamano sporco del suo sangue era appoggiato sui piedi. Terrorizzata e piangente diede l’allarme. Il sacerdote era stato assassinato. All’arrivo degli altri parrocchiani e, quindi, delle forze dell’ordine, si notò che tutto era stato messo sotto sopra da chi lo aveva ucciso. Ma, la cosa che balzò immediatamente agli occhi, fu che il portafogli era intatto con ancora dentro 800mila Lire di Don Cesare. Eppure, a dispetto dell’evidenza testarda, sulla stampa del giorno dopo, si disse che quella morte probabilmente doveva essere il frutto di una rapina ad opera dei tossicodipendenti della zona che lo stesso Boschin accudiva sia spiritualmente che materialmente. Inoltre, altri soldi, che si trovavano tra i libri del Parroco, non furono neppure toccati. Altro elemento sconvolgente, che ricorda altri episodi della storia del nostro Paese ben più famosi, fu che i carabinieri scoprirono la mancanza di due agende di Don Boschin, su cui il sacerdote annotava minuziosamente ogni evento, notizia, informazione. E fu nello stesso stile con cui si disse che don Diana fu ucciso perché molestava delle giovani ragazze, che venne vociferato che il movente dell’omicidio Boschin dovesse essere ricercato nella sua predilezione per i minorenni. Cosa assolutamente e categoricamente falsa, tanto da essere smentita dai suoi parrocchiani e dagli stessi bambini di allora, ormai grandi, che stavano serenamente vicino al sacerdote senza mai aver ricevuto pressione o violenza di sorta. Il messaggio veicolato con quell’atto di assurda violenza, fu chiaro. Il comitato a difesa del borgo fece un passo indietro e placò le sue attività, fino a cessarle del tutto di lì a poco. Tuttora non si conoscono i nomi dei responsabili dell’omicidio. Tuttora, i fedeli di Borgo Montello portano fiori sulla tomba di Don Boschin. Lì, in quel luogo a soli sessanta kilometri da Roma, più di qualcuno sta vincendo la paura e ha voglia di parlare. Per non dimenticare.